conservazione ex situ

L’articolo 9 della CBD parla dell’importanza di affiancare la conservazione ex situ a quella in situ invitando le varie nazioni a prendere provvedimenti per la realizzazione e il mantenimento di strutture per la ricerca e la conservazione di piante. I paesi firmatari devono regolamentare e gestire con attenzione il prelievo delle risorse biologiche dagli habitat naturali evitando una minaccia agli ecosistemi e alle popolazioni di specie in situ. E’ opportuno utilizzare tecniche di conservazione ex situ quando taxa o popolazioni sono sottoposti agli effetti dell’attività antropica o quando dei taxa sono estinti in natura o rischiano di estinguersi in tempi molto brevi. La conservazione ex situ avviene nelle cosiddette “banche del germoplasma”. Il germoplasma viene considerato come il materiale in grado di trasmettere i caratteri ereditari da una generazione all'altra; quindi bisogna pensare ai semi, al DNA, a singole cellule, alle spore, al polline, ai tessuti o parti di piante. Le banche del germoplasma possono essere suddivise in quattro categorie principali:

  1. Collezioni in vivo: sono raccolte di piante che vengono mantenute in ambienti controllati come ad esempio giardini, orti botanici, arboreti, vivai, serre. Questa tecnica è molto diffusa nella conservazione delle cultivar delle piante agricole da reddito.

  2. Conservazione in vitro: è la conservazione di tessuti vegetali. Lo svantaggio di questa tecnica è che la conservazione è di breve durata e richiede molto lavoro ma è l’unica possibilità per conservare quelle specie che hanno perso la capacità di riprodursi per via sessuata e che possono essere quindi propagate solo per via vegetativa (es. banana).

  3. Banche di criopreservazione (DNA, polline): con questa tecnica possono essere estratti e utilizzati geni utili attraverso le tecniche di ingegneria genetica. Il polline è molto facile da conservare, per altro ad un costo molto basso. Il difetto del mantenere il polline è che viene conservato solo il corredo aploide paterno.

  4. Banche dei semi: sono banche del germoplasma dove il materiale prevalentemente conservato è costituito dai semi. Fino a pochi anni fa queste strutture hanno focalizzato la loro attenzione quasi esclusivamente sulla conservazione delle varietà agronomiche e delle loro rispettive specie selvatiche. Il 90% dei campioni di materiale raccolto da conservare (accessioni) è rappresentato da specie alimentari e da piante comuni che, su scala mondiale, sono riprodotte in modo intensivo e rivestono un’importanza economica fondamentale. Il recente diffondersi di banche dei semi con la funzione di conservare la flora rara e/o minacciata di estinzione è la conseguenza dell’attuazione di specifici obblighi di conservazione come quelli previsti dalla CBD. Oggi ci sono milioni di accessioni vegetali conservate in circa 1300 banche dei semi, e questo grazie anche alla FAO. Le prime banche sono nate all’interno di università o orti botanici alla fine degli anni 50 negli Stati Uniti. La più grande banca dei semi del pianeta è la Globalseed vault, situata in Norvegia, nelle isole Svalbard inaugurata il 26 febbraio 2008. Questa banca ospita duplicati di varietà uniche delle colture mondiali più importanti. “E’ una delle imprese più straordinarie al servizio dell’umanità” e “sarà una garanzia a livello mondiale per affrontare le sfide future” dice la FAO. La Globalseed vault è stata costruita all’interno di una montagna ghiacciata nell’arcipelago delle Svalbard; il permafrost e la roccia faranno si che anche senza elettricità il materiale genetico conservato rimarrà congelato e protetto; inoltre offrono garanzie di sicurezza in caso di guerre o altri disastri. La banca riceverà, in base all’accordo del Trattato sulla biodiversità, circa 200 mila sementi, ma la sua capacità complessiva è di 4,5 milioni di campioni, equivalenti a circa 2 miliardi di semi.