Cenni Storici dell'Agroecologia

Agroecologia: una novità?

Sebbene il termine agroecologia sembri legato a concetti ed applicazioni scientifiche degli ultimi decenni, in realtà l’uso di adattare le pratiche agronomiche alla variabilità dell’ambiente naturale, così come la prassi di intrecciare le peculiarità ecologiche del “campo” coltivato con quelle del campo incolto limitrofo e quelle della vegetazione circostante, sono noti dai primordi dell’agricoltura; ancor oggi ne sono testimonianza le pratiche indigene che hanno fatto loro, attualizzandoli nel tempo, i meccanismi agronomici precedenti. L’agroecologia allarga il proprio campo d’azione al di là della mera coltura principale, impegnandosi a gestire le risorse necessarie per arginare certamente i rischi economici, ma anche quelli ambientali, e contemporaneamente garantire la sostenibilità del processo agricolo. Con quest’ultimo concetto, che introduce la capacità di un sistema agricolo di emanciparsi dall’ottica del massimo profitto immediato a favore di una produttività costante protratta nel tempo, ci si avvicina alla necessità di valutare quanto la biodiversità sia fondamentale in questo contesto. Intanto, una breve digressione sul come sia stato possibile dimenticare gli importanti contributi apportati dalle culture autoctone alle conoscenze agronomiche ufficiali. Storicamente si sono succedute più fasi che hanno cooperato all’interruzione della trasmissione delle pratiche agronomiche sia in Europa, che in ambito non occidentale; l’Inquisizione Cattolica ha stigmatizzato usi e rituali rurali come figli della superstizione nei paesi del Nuovo Mondo durante l’opera di evangelizzazione connessa alle esplorazioni europee di conquista.

Di certo lo schiavismo, unitamente agli effetti dei bruschi cali demografici legati agli esiti delle epidemie importate nelle zone di occupazione dai conquistadores, ha ulteriormente cooperato, per sottrazione di forza lavoro e per volontario abbandono delle zone coltivate ai fini di sfuggire le razzie di uomini, al frazionamento e alla perdita delle tradizioni agricole. L’inglobamento dell’economia residua nel sistema produttivo coloniale, così come il privilegiare il commercio dei prodotti agricoli destinati all’esportazione, hanno destabilizzato in modo definitivo le strategie in uso da secoli per la conservazione delle risorse agricole di base. La filosofia positivista ha avallato poi la messa al bando delle culture contaminate dalle superstizioni, a favore di un razionalismo che declassa il mondo naturale da soggetto vivo e dinamico ad una entità meccanicista, globalmente immutabile, in cui possono variare solo le proporzioni relative fra le parti e le forze che fra queste interagiscono. I contesti ecologici, elusi da forme rituali e simboliche, sono destinati a rimanere sommersi.

La riappropriazione dei valori e dei benefici dell’agroecologia non può prescindere da discipline come l’antropologia e l’ecologia, fermo restando che l’ottica filosofica a cui si affida l’agroecologia è ben più interattiva rispetto la visione scientifica positivista. L’uomo non si limita ad accumulare conoscenze da puro osservatore, ma vive in prima persona una coevoluzione con il sistema ecologico cui appartiene: l’uomo seleziona le specie, privilegia le relazioni biologiche a lui utili in base al contesto sociale in cui è inserito e alle sue potenzialità tecnologiche. D’altro canto il “sistema natura”, con le sue peculiarità legate al clima e ai terreni, imprime direzioni ben precise all’organizzazione sociale e alle tecnologie connesse. La pressione selettiva agisce nei due sensi, e affonda le sue radici epistemologiche nell’ecologia culturale che stabilisce un’interdipendenza fra ambiente e cultura. Ecco quindi, per tornare pragmaticamente al “campo coltivato”, che l’agroecologia si occupa di esplicitare le modalità e le dinamiche delle relazioni ecologiche che vi si instaurano.