Coltivare nel rispetto della biodiversità
Nel XX secolo, circa il 75% delle varietà vegetali pre-esistenti è andato perduto. Attualmente, tre quarti dell’alimentazione mondiale sono sostenuti da appena 12 specie vegetali e 5 animali. Un terzo circa delle specie viventi è a rischio di estinzione. Delle 7100 varietà di mela che crescevano negli Usa nell’Ottocento, 6800 non si trovano più. Sono scomparse anche il 95% delle 500 varietà di fagioli e l’81% dei più di 400 tipi di pomodoro un tempo esistenti.
La spinta per un aumento della produzione agricola e dei profitti ha orientato la
scelta su un numero limitato di varietà di piante e di razze animali ad alto
rendimento. Un’agricoltura di questo tipo, nata dopo la Seconda Guerra Mondiale,
può essere definita “industriale”, poiché punta ad una produttività a tutti i costi
e ad una standardizzazione ideale dei prodotti agricoli. La conseguenza diretta di
tale strategia consiste nella perdita, da parte dell’agricoltura, della capacità di
adattarsi ai cambiamenti ambientali, come il riscaldamento globale o nuovi insetti
nocivi e malattie. Tuttavia, un altro rischio da non sottovalutare è legato al fatto
che questo tipo di coltivazione ha portato a un vistoso impiego della chimica per
sintetizzare pesticidi destinati a sterminare i nemici, animali e vegetali, delle
piante coltivate. In questo modo gli enormi spazi destinati all’agricoltura hanno
perso gran parte dell’elevata biodiversità che prima riusciva a convivere con una
diversa tipologia di coltivazione.
Oggi si riscontra la tendenza a tornare, almeno
in alcuni casi, ad un maggior rispetto nei confronti dell’ambiente: tale approccio
prende il nome di “agricoltura biologica”. Essa non solo salvaguarda la diversità
genetica delle piante coltivate e degli animali allevati, ma tutela ed incrementa
la diversità naturale di piante ed animali presenti nell’ecosistema agricolo
attraverso tecniche di produzione e di gestione aziendale che attribuiscono alla
biodiversità l’importanza che merita, anche in ambito produttivo.
Analizzando il caso degli artropodi in agricoltura, possiamo notare come la maggior
parte di essi sia da considerarsi innocua nei confronti delle colture e, in generale,
maggiore è la biodiversità nel campo coltivato, così come negli ecosistemi naturali,
maggiore è la cosiddetta stabilità. Ciò significa che, in ambienti stabili, non si
hanno aumenti numerici catastrofici e improvvisi di poche specie favorite da cause
particolari, ma si instaura un equilibrio che fa mantenere molte specie a bassi
livelli di densità. Tuttavia, i moderni pesticidi e gli altri prodotti chimici di
vario genere sono poco, o per niente, selettivi e tendono a ridurre sia organismi
realmente dannosi alle colture, sia specie innocue e sensibili, come è avvenuto per
la recente e diffusa moria delle api, organismi di fondamentale importanza per l’impollinazione.
Naturalmente le ripercussioni non si limitano agli organismi che muoiono ad opera di
queste sostanze, ma anche ai livelli trofici superiori come ad esempio gli uccelli
insettivori che faticano a trovare il cibo, e quando lo trovano esso contiene piccole
quantità di sostanze tossiche che poco a poco vengono accumulate nel loro organismo.
Il controllo biologico, quindi, gioca un ruolo fondamentale, le strategie di lotta
biologica classica e moderna, al contrario della lotta chimica, non semplificano, ma
rendono più stabili gli ecosistemi.
Sulla base dei dati della Royal Society, la più prestigiosa organizzazione scientifica
della Gran Bretagna, emersi da un lungo ed impegnativo lavoro svolto da scienziati che
hanno messo a confronto la fauna selvatica nelle aziende biologiche e in quelle
convenzionali. Le differenze trovate sono enormi: nei terreni biologici si registra
fino al doppio delle piante trovate in quelli convenzionali, fino al 50% in più di
ragni, il 60% in più di uccelli e il 75% in più di pipistrelli.
Come si ottiene successo con il bird watching sarebbe auspicabile che per un numero
crescente di persone diventasse entusiasmante l’insect watching, provando a vedere più
da vicino quello che molto spesso viene evitato, disprezzato o addirittura temuto
quando osservato dalla nostra prospettiva. Questa attività potrebbe conciliarsi
perfettamente con un’agricoltura sostenibile, multifunzionale e con vocazione
agrituristica e didattica. Infatti, conoscendo la natura e la sua bellezza, è difficile
pensare ad una produzione mirata esclusivamente al nostro interesse e profitto, ma al
contrario si dovrebbe conservarla con maggior impegno.