La Biologia della Conservazione

La crisi causata dalla perdita di biodiversità ha dato origine negli anni ‘50 ad un nuovo ramo della scienza, la biologia della conservazione , che, proprio per l’urgenza dei problemi posti, è uno dei campi di maggiore crescita della moderna ricerca scientifica. Si tratta di una disciplina applicata che integra i principi delle scienze naturali e sociali con l’obiettivo di mantenere a lungo termine la biodiversità.

La storia e la scienza hanno dimostrato che lo sfruttamento incontrollato o non pianificato correttamente delle risorse del pianeta è causa di alterazione degli ecosistemi. Occorre quindi pianificare e gestire in modo responsabile e razionale il patrimonio ambientale. Questa gestione deve far fronte ai problemi connessi alla conservazione delle specie già minacciate di estinzione, o che potrebbero esserlo nel futuro, tramite opportune misure quali l’istituzione di zone di protezione e di parchi naturali, la pianificazione di interventi di reintroduzione delle specie, la regolamentazione del prelievo venatorio e della presenza antropica sul territorio, la regolazione del commercio di animali. Le conseguenze della perdita di biodiversità riguardano, quindi, non solo la qualità della vita ma la possibilità della vita stessa sulla terra.

Sebbene alcuni meccanismi siano stati abbondantemente studiati e messi chiaramente in relazione con le attività umane, tuttavia molti altri necessitano ancora di essere compresi. La conservazione della biodiversità è un problema complesso sia perché le conoscenze relative alla biologia e all’ecologia delle singole specie e alle interazioni tra di esse e con l’ambiente in cui vivono sono spesso scarse, sia perché si trova al centro di una molteplicità di interessi economici diversi. L'aspetto più allarmante della perdita di biodiversità è rappresentato dall'ignoranza sulle conseguenze ultime delle nostre azioni di danneggiamento degli ecosistemi e sulla loro reversibilità.


L'obiettivo di un piano di conservazione sistematica è procurare un quadro strutturato, scientificamente corretto, ed efficace per la protezione della biodiversità. L'assegnazione del valore di biodiversità ai siti terrestri è una componente chiave di questi processi. Tuttavia, ci sono diversi esempi di aree designate alla conservazione per il basso valore produttivo per l'agricoltura o lo sviluppo, più che per la loro capacità di raggiungere specifici obiettivi di conservazione. Le aree con la maggiore biodiversità e il maggior numero di ecosistemi e specie in pericolo o minacciati, tendono a coincidere con le zone potenzialmente sfruttabili per uso umano. Inoltre le specie più minacciate, sono le meno rappresentate nelle aree protette!

Nel contesto della perdita di biodiversità, l'incertezza, la dinamica del sito, e la disponibilità del budget, fanno sì che per scegliere le aree da proteggere bisogna stabilire delle priorità, anche utilizzando criteri di scelta sub-ottimali. La prioritizzazione dei siti, con il relativo valore di biodiversità e quindi la loro importanza, può produrre un miglior investimento di risorse, rispetto ad una azione di tutela più ampia.

Le aree a cui dare la priorità per la conservazione dovrebbero proteggere non solo i genotipi e le specie, ma anche l'ambiente non vivente! Perciò, focalizzarsi su ogni singola componente della biodiversità, non è sufficiente per proteggere gli altri componenti; bisogna promuovere l'inclusione di criteri relativi all'ecosistema e alla diversità ambientale.

Attualmente il valore di biodiversità di un sito viene assegnato tramite un set di misure ed indici normalmente basati sulla comprensività, la rappresentatività, e la persistenza delle specie. L'assegnazione del valore dipende soprattutto da un ampio range di caratteristiche, non solo dal numero, dal tipo e dalla distribuzione spaziale delle specie, ma anche da tutti gli elementi biotici e abiotici. Perciò, a causa della complessità nel definire il valore di un'area, occorre sempre richiedere le opinioni di esperti in diversi campi.